"CAMPIONE" e "ILLUSIONE" fanno rima. Occhio!

"CAMPIONE" e "ILLUSIONE" fanno rima. Occhio!
Lo sport in adolescenza
Tra le principali esperienze che un adolescente vive c’è quella della dimensione sportiva. Nella nostra società purtroppo quasi il 40% degli adolescenti italiani, nella fascia d’età 13-14 anni, non pratica alcuna attività sportiva. Un evidenza negativa portata alla luce dalla Società Italiana di Pediatria su Abitudini e Stili di Vita degli Adolescenti. 
Un dato che scotta, giustificato per certi aspetti dalle abitudini della new generation di adolescenti iper connessa ai telefonini, ma che gioca anche un ruolo decisivo rispetto alle aspettative dei ragazzi. 
Infatti come spiega Silvano Bertelloni, pediatra adolescentologo dell’Università di Pisa e membro del Direttivo dell’Associazione Laboratorio Adolescenza, “Il problema maggiore, non è l’accesso allo sport (circa l’80% dei bambini italiani tra 6 ed i 10 anni ha l’opportunità di seguire almeno una pratica sportiva – dati Censis 2006), ma l’abbandono precoce (parziale o totale) in età adolescenziale. 

Ed uno dei principali motivi, è la disillusione prodotta dai risultati. Chi si avvicina allo sport – continua Bertelloni – con l’ambizione di diventare un campione, difficilmente proseguirà l’attività quando si renderà conto, e saranno naturalmente la maggioranza, che questa possibilità gli è oggettivamente preclusa”. 
Occhio che la “Serie A” non è per tutti. Lo sport ha prima di tutto un significato evolutivo. Conta lo sviluppo educativo, emotivo e sociale. La dimensione di crescita apre le porte alla possibilità di diventare un talento, non viceversa. è naturale che, se invertiamo la logica, gli adolescenti crescono più complessati. Il problema è alla base. 
L’identità è lo snodo centrale dello sviluppo e non possiamo permetterci di illudere la costruzione di essa. Se i ragazzi non diventeranno “Balotelli o Del Piero” non c’è nessun problema. Meglio essere onesti, perché se scatta l’illusione sarà più difficile per loro costruire un futuro o meglio costruire la propria identità. Teniamo ben presente che, solo l’uno per mille approda alle squadre di serie A o B. “Sono solo 3000 i giovani che varcano la soglia del calcio professionistico e di questi solo meno di mille riescono ad inserirsi nelle società di A e B” (indagine). 
I nostri atleti spesso vivono la marginalità dal gruppo dei pari. Il tempo è prosciugato da allenamenti e scuola. E il gruppo di amici non riescono più a considerarlo. La “squadra” sembra spesso un ambiente freddo, esageratamente competitivo, che non trasmette ideologie, comunanza e collaborazione. Non da ultimo c’è la sindrome: “pedina del mister”. Il ragazzo non è protagonista dell’apprendimento, ma si sente usato per fini personali. Oppure, al contrario, c’è una esagerata tendenza all’invasione nella vita privata del ragazzo. In buona sostanza, il tecnico non rappresenta più un modello da emulare. Infine, il ragazzo cambia. Grazie al cielo che è così. Ciò che piaceva fino a ieri oggi non piace più. Può succedere. 
Nella vita dell’adolescente con identità in costruzione subentrano nuovi elementi di gratificazione, nuovi interessi e relazioni. I vecchi bisogni così perdono d’interesse. Sorgono nuove motivazioni. Concludo con le parole di un esperto del settore. Alberto Bollini che di professione fa l’allenatore della Primavera del Lazio. In un intervista a Linkiesta: “Campione – afferma – fa rima con illusione. I ragazzi spesso se ne accorgono in fretta; lo capissero pure i loro genitori, forse le cose sarebbero più semplici, che anche in squadra uno su mille ce la fa e magari farà strillare, entusiasta, il cronista di turno. Gli altri saranno protagonisti nelle serie minori o nemmeno lì, con il pallone, e il compito dell’allenatore e dei suoi collaboratori diventa decisamente più educativo e formativo che tecnico o tattico. Ma non basta saper giocare a pallone, per giocare a pallone. 
Questi ragazzi hanno, nel loro borsone per gli allenamenti, quello che i loro coetanei tengono negli zaini: una personalità da costruire, l’interrogazione in matematica o in storia e non basta la storia del tre cinque due per assicurarsi un bel voto. 
Hanno timidezze e sfacciataggini, sogni e speranze; hanno una fidanzata e se non ce l’hanno magari la desiderano, hanno una famiglia, spesso in una città lontana. Trascorse le due ore di allenamento, infilata una maglietta e i blue jeans, non te ne accorgi che sono dei potenziali campioni”.

Gabriele Cervati

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